domenica 25 marzo 2012

sabato 24 marzo 2012

SETTIMANA SANTA 2012 – L’OPUSCOLO

Ecco l’opuscolo della Settimana Santa 2012 in versione sfogliabile, dedicato soprattutto ai tantissimi carottesi fisicamente lontani dalla nostra terra ma che col cuore sono rimasti qui con noi e, soprattutto il giovedì e venerdì santo, sentono forte il richiamo delle tradizioni.

Per loro stiamo preparando anche una bella sorpresa, stiamo lavorando per poter trasmettere in DIRETTA STREAMING le processioni del Venerdì sera, certo la qualità non sarà eccellente ma almeno potranno vivere in diretta l’evento più importante che si svolge qui nella loro Piano di Sorrento. Quindi, se tutto va bene, appuntamento per Venerdì sera su queste pagine per le

PROCESSIONI IN DIRETTA

mercoledì 21 marzo 2012

Giovedì Santo 2012: μάρτυρες

La Processione Bianca del Giovedì Santo a Piano di Sorrento (NA): un rito che si ripete da oltre 400 anni. Un misto di fede e tradizione, una testimonianza di fede di un popolo.

MISERERE – dall’opuscolo 1998

Il passaggio dall'”Inno" al "Miserere" segnò l'inizio della mia adolescenza con la fatica di memorizzare il testo latino senza capire nulla, con il pericolo di dividere le sillabe senza senso. Fu una conquista, un passaggio di status, una promozione, un avanzamento di carriera essere ammesso nel coro: "Non sono più un bambino! Sono grande ormai!" mi dissi, a quindici anni, varcando la soglia della mia Confraternita. Non sapevo neppure di cantare un Salmo e tanto meno un "salmo penitenziale", non conoscevo Davide con la sua storia, per me il Miserere era un motivo. Lo sentivo nell'aria venire puntuale con la primavera, fioriva con le fresie sul muro tufaceo del giardino del nonno o sorgeva dal mare con quell'odore strano di febbraio?

Non so, ma ricordo che era solo un motivo grave sulla bocca dei grandi, triste negli occhi degli anziani del coro che lo cantavano da cinquant'anni, solenne sulle labbra di mio padre che non mi vide o fece finta di non vedermi quell'anno in cui varcai la soglia dell'adolescenza entrando a far parte del Miserere. Quell'anno, e per molto tempo ancora, per me fu solo un motivo un pò triste nelle stanze di un cuore ancora vergine e ignaro dell'amore e del dolore.

"Et malum coram te feci", dai meandri della memoria insieme ai conati di vomito, tra i fumi del vino chi mi suggerì questa frase? Il mozzo che cercava di soccorrermi o la mia coscienza, nonostante tutto, ancora desta? Non so. Ricordo che ero sul ponte, a Monbasa, la notte del mio ventiquattresimo compleanno. Solo qualche ora prima mi ero lasciato trascinare in un locale equivoco lasciandovi una manciata di dollari e la mia ingenuità. "Ho fatto il male davanti a Te!": l'espressione del Miserere mi fece compagnia e mi torturò tutta la notte e non voleva andar via come il profumo di quella donna sulla mia pelle e l'amarezza degli ideali traditi nel mio cuore.

Da allora anni, decenni di arrivi e di partenze, volti, porti, tempeste sul mare, tempeste nel cuore. Eppure ogni anno, dovunque mi trovavo, pur con la confusione degli emisferi e delle costellazioni, la Settimana Santa mi richiamava a casa con i suoi rituali, i suoi profumi, le sue rappresentazioni. La veste mi veniva gentilmente recapitata a domicilio perché tutti sapevano che il mio posto nel coro non sarebbe stato vuoto ed io, con le referenze godute in Compagnia, giungevo puntuale anche dall'America del Sud o dal Nord Europa. "Purificami con issòpo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve": di anno in anno sentivo che Dio aveva bisogno per me di una dose più abbondante di issòpo.

"Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe" questo passaggio del Miserere mi venne incontro a cinquant'anni quando percepii per la prima volta che Dio mi fissava ed io ero nudo davanti a Lui senza possibilità di nascondermi. La giovane moglie del Primo Ufficiale, mio amico, era venuta a rompere la tremenda monotonia della vita a bordo ed era bellissima. Dimenticai il mio ruolo di Capitano e di amico, di marito e di padre, di credente e di confratello.

Accadde tutto in una notte di mare grosso: il mio amico Primo Ufficiale, dopo aver scoperto vuota la sua cabina, scomparve tra i flutti neri del mare di Guascogna. Cercai di dimenticare. Quell'anno il parroco fece precedere l'ultima prova del Miserere da un momento di riflessione. Fu allora che venni a sapere di Davide, della sua passione per Betzabea, di Urìa, dell'omicidio. Man mano che il parroco parlava, mi inseguivano le immagini, i paralleli, le coincidenze. Quando giunse alla narrazione del profeta Natan che va da Davide, mi attraversò un fremito nella schiena, fissandomi mi puntò l'indice contro e gridò: "Tu sei quell'uomo!".

"Amplius lava me ab iniquitate mea, et a peccato meo munda me...". "Il Capitano è rauco stasera?", "Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum, et in peccatis concepii me mater mea...", "Non si sente la voce del Capitano!", "Domine labia mea aperiès, et os meum annuntiabit laudem tuam", ma la mia bocca restava serrata nonostante crescesse il brusio tra una strofa e l'altra. Ma io non sentivo che il pianto di Davide e la processione cui partecipavo da decenni mi si apriva in una inedita, coinvolgente versione. Sul catafalco, tra i lampioni, non c'era la solita statua del Cristo morto, ma, tra le lacrime, vi vedevo disteso il corpo esangue di Angelo che io avevo tradito e perduto. Anch'egli doveva avere non più di trent'anni. E, voltandomi indietro per sfuggire all'orrenda visione, incrociai lo sguardo di sua madre in gramaglie, pallida e addolorata come la statua della Vergine. Davide e Giuda si rimescolavano nel mio sangue impedendomi di avere una netta coscienza di me. Caino e Pilato mi chiamavano dai meandri della storia impastando la loro alla mia grande amarezza.

"Sacrificium Deo spiritus contribulatus, cor contritum et humiliatum Deus non despicies.". "Non despicies", l'ultima frase della strofa restava impigliata nella memoria come la luna in quel noce che svettava alto come una croce oltre il muro di un giardino. "Tu, Dio, non disprezzi un cuore affranto e umiliato","Non despicies", ripetevo come un demente in preda a una crisi, non vedevo altro che il mio male e lo sguardo di Dio che non mi disprezzava. Gridavo e piangevo: "Non despicies!”, "Non despicies". I coristi alzarono la voce per coprire il mio gridare, per far rientrare il Capitano che sembrava fuori di sé, ma io, barcollando, puntai dritto verso il parroco e affondai il volto sulla sua zimarra chiedendo pace per un cuore affranto e umiliato. La mia confessione, forse, la ascoltarono in tanti, certamente il priore e i due assistenti; man mano che raccontavo mi pacificavo come liberato da un demone. Non tomai al mio posto, restai accanto al priore e ai due assistenti; dopo l'assoluzione il parroco continuò a tenermi per mano fino alla fine della processione. Rientrai in chiesa così, portato per mano, senza vergogna, come quei bambini, confratelli in miniatura, che dopo qualche tratto di processione, fanno i capricci e vengono portati dai cerimonieri dai loro papà e, mano nella mano, trascinandosi, vengono avanti piangendo.

Sono passati dieci anni da allora. Dieci anni di grazia. I più belli e sereni della mia povera vita. "Come sei cambiato!" - mi dicono in tanti. "E' stato il Miserere!" amo rispondere. Anche quest'anno, più attesa che mai, mi è stata recapitata la veste. "Sarà per l'ultima volta!" ho detto a mia moglie. Quando il medico di famiglia, con fare circospetto e imbarazzato, mi portò l'esito della biopsia ebbe un calo di voce nel pronunciare la mia condanna: "carcinoma". "Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam" fu la mia risposta immediata e serena. Da due anni, tra referti e medicine, chemio e cobaltoterapie, mi sono abituato a riposare sulla prima battuta del Miserere e trovo particolare pace in quel "magnam misericordiam", "grande amore" che mi appare un'uscita di sicurezza dal tunnel della mia precaria condizione. "Secundum magnam misericordiam tuam": se ha perdonato a Davide, a Pietro e a Giuda - mi ripeto - ci sarà perdono anche per me. Gesù è morto anche per il Capitano! Ai priori e ai cerimonieri voglio raccomandare, prima di partire: cambiate quello che volete nelle processioni, ma lasciate intatto il Miserere! Non la lancia o il lampione, non il labaro o le mille croci di ogni forgia e misura, il Miserere mi ha cambiato! Il Miserere mi ha salvato. Mia moglie già lo sa, ma ora lo dico a tutti, se dovessi morire per strada o in piazza, sul sagrato o in un negozio, fatemi la carità di ripetere (non voglio sentire altro nell'ultimo istante in questo mondo): "Misererò mei Deus secundum magnam misericordiam tuam". E così sia. 

domenica 18 marzo 2012

PELLEGRINAGGIO ALLA TOMBA DI CASANOCILLO – IL PROGRAMMA

Domenica 25 marzo alle ore 15,30,  toccante  pellegrinaggio ( Via Crucis) alla Tomba di Casanocillo, luogo dove sono sepolti molti nostri fratelli colpiti dalle pestilenze dei secoli scorsi.

L'appuntamento è fissato per le ore 15,00 presso la " Trattoria Compagna" da dove alle ore 15,30 avrà inizio il cammino di preghiera e di meditazione ad ogni stazione per concludersi davanti alla tomba dove è incisa una preghiera per ricordare quei nostri sfortunati fratelli.

LA PROCESSIONE NEGLI OCCHI DI UN BAMBINO–dall’opuscolo 1997

100_1968Nove anni. Forse, dieci. Francesco era poco più di un bambino. Era il 1976. Francesco non lo sapeva ancora. Non lo immaginava neppure. Ma quello sarebbe stato per lui l'ultimo anno da spettatore. Si, non avrebbe più assistito in seguito alla mesta, ma imponente, sfilata degli incappucciati neri della Morte e Orazione, la sera del Venerdì Santo, su un Corso Italia che affogava fra due ali di una folla immensa, da far paura. E lui affacciato, dal terrazzo antico di un palazzo appartenuto in passato a qualche nobile ora decaduto, il cui nome forse si era addirittura estinto. Lui era li, come ogni anno, ad aspettare il passaggio della processione nera del Cristo morto. La processione, per eccellenza. A Piano di Sorrento. Era sempre stata un evento, per Francesco, la processione. E non riusciva a spiegarselo. Nei suoi primi anni di spettatore aveva paura di quegli uomini senza volto, tutti neri, che camminavano in un ordine surreale in file interminabili. Come quando a scuola gli dicevano di mettersi in fila per due, tenendo per mano il compagno di banco. Poi piano piano il suo amore per quell'evento cresceva e forse lui non se ne accorgeva nemmeno. Il futuro stava entrando dentro di lui, ancor prima che accadesse. Quell'anno, sembrava un anno come tutti gli altri. Con la mamma e il fratellino era andato a casa della zia per centellinare, gustare il sapore di un rito tutto suo. Prima la televisione, con l'inizio della Via Crucis officiata dal Papa, quell'anno era Paolo VI, poi la tanto desiderata tazza di cioccolata preparata da zia Rita con il prezioso, ai suoi occhi, segreto per farla densa. Infine la processione. E lui impaurito si affacciava pochi minuti prima del passaggio. Uno spettacolo impressionante. Migliaia di teste che si accalcavano su una strada misteriosamente vuota, senza macchine. Un'autentica magia, impaurito si affacciò. Da lontano sentì le prime note del Miserere. Le sentì diverse. Rapito, stordito da quel frastuono simile a un lamento, che ricordava la Morte di un Innocente, non fece caso nemmeno a quel dubbio che lo assillava da anni. Perché i tamburi, ogni volta che li vedeva passare, non suonavano? Ma lui non ci fece caso, appunto. Improvvisamente sentì l'angoscia di assistere a quell'evento. Avrebbe voluto partecipare anche lui. Ma era possibile? Quegli incappucciati erano esseri umani? Avrebbero consentito a lui, poco più di un bambino, di fare la processione? Da allora fu quella la unica, nuova domanda che lo assillò. Certo, gli sarebbe dispiaciuto non andare più dalla zia. Ma non poteva più resistere a quel richiamo. Ora però doveva aspettare un anno. Nel frattempo si sarebbe preparato. A scuola, parlando con i compagni, scoprì che alla processione nera potevano partecipare anche i bambini grandi come lui. Ma era difficile prendere la veste. Non solo. In processione c'erano degli uomini cattivi con una mazza in mano. Simili ai maestri che ti chiedevano se avevi fatto o no i compili. E più cattivi, gli spiegarono, erano due omoni con i baffi, forse due gemelli, che si chiamavano Rosario e Ferdinando. Ma lui non si perse d'animo. Oramai stava iniziando a capire e non poteva tirarsi indietro. Quando aveva chiesto a casa come fare per andare alla processione i genitori gli avevano risposto di non preoccuparsi, che c'era zio Mario, un altro uomo cattivo con la mazza, che lo avrebbe accompagnato a prendere l'ambita veste. E venne cosi il grande giorno. Un anno dopo. Insieme a zio Mario andò nella sala del Monte, come veniva chiamala. Aveva paura. Appena entrò vide tante persone che si rivolgevano a un signore che chiamavano Giosuè. Un altro signore, con i capelli bianchi, lunghi come li portano le donne, era seduto dietro a una scrivania. Poi scese giù in altra sala. Dove distribuivano le vesti. Gliela misurarono proprio Rosario e Ferdinando, mentre un signore piccolo, chiamato il professore, gli infilò in testa, improvvisamente, un cappuccio. Era fatta. Ora doveva aspettare solo il grande momento. Mancavano due settimane. Per il Venerdì Santo del 1977. Quell'anno, cambiò zia. Andò a dormire da lei, per poi andare insieme al cugino più grande e a un amico di classe alla processione della notte. Non dormì affatto. A mezzanotte in punto si alzò dal letto e si vestì secondo le indicazioni contenute in un biglietto rosso: scarpe e calzini neri. indumenti scuri. All'ingresso del cancello, prima del viale che portava alla sala del Monte, il signore piccolo che gli aveva misurato il cappuccio controllò che si fosse vestito come diceva il biglietto rosso. Entrò e iniziò a cacciare la veste dalla busta di plastica, dove sua mamma l'aveva riposta dopo averla stirata e piegata. Un signore gli allacciò il cordone con nodo stranissimo e complicato, che in futuro si sarebbe categoricamente rifiutato di imparare. I minuti passavano e venne il momento di mettersi in fila. Voleva, come tutti gli altri ragazzini della sua età, il lampione. E gli capitò proprio un lampione per la sua prima processione. L'evento al quale aveva assistito in passato era suo. Non più un sogno. E quando un uomo cattivo, in piena notte, in piena processione, gli diede un colpo alle gambe con quella mazza che veniva freneticamente battuta per terra, pianse. Il futuro stava entrando dentro di Lui.

CASANOCILLO 2012 – PASSI NELLA STORIA

(dal blog della Congrega dei Luigini)

Si rinnova l'appuntamento con la fede e con la preghiera domenica 25 marzo 2012. Le Confraternite del Piano si recano in pellegrinaggio nella selva di Santa Caterina in località Casancillo.

La selva si estende per circa due ettari nella zona di Lavinola e, pur risentendo negativamente di un forte degrado ambientale per l’abbandono e lo stato d’incuria in cui molti appezzamenti di terreno sono lasciati così come il vallone che attraversa il territorio, conserva ancora il fascino dell’ambiente montano con i suoi caratteristici alberi di castagno. La Via Crucis che qui si svolge si conclude come da tradizione alla tomba di Casanocillo, eretta nel 1887 dai Comuni della Penisola Sorrentina a ricordo degli appestati morti nelle epidemie che si susseguirono in Penisola nell’arco dell’Ottocento. Si ritornerà, dunque, sulle orme del passato per una riflessione storico-antropologica e religiosa. Come sempre a perenne ricordo, riportiamo l'iscrizione della Lapide sulla Tomba di Casanocillo: 

D.O.M. (Deo optimo maximo)

QUI NEL CIMITERO SENZA POMPA DI MARMI 

E SALICI PIANGENTI ALL'OMBRA TACITURNA OSCURA SELVA

ACCOGLIE SOTTERRA LE INCENERITE OSSA 

DE' COLPITI DAL FULMINEO MORBO ASIATICO 

NEL 1836 '37 '54 '66 

CHE LA CARA MEMORIA RESTASSE NEL CUORE

DE' FRATELLI INDELEBILMENTE SCOLPITA 

LA CITTADINANZA DE' COMUNI DI 

PIANO DI SORRENTO META E S.AGNELLO 

SOSTENUTA DA RELIGIOSO E PATRIO AMORE 

QUESTO MARMO POSE 

XXX MAGGIO MDCCCLXXXVII 

Lunedì sera 19 marzo e giovedì sera 22 marzo  è possibile ritirare presso i locali dell'Oratorio di San Nicola, la veste bianca per partecipare al rito.

sabato 17 marzo 2012

MORTORA – PRENOTAZIONI DEL SAIO BIANCO

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IL SACCO – dall’opuscolo 1997

Uno dei riti che segna l'inizio del "tempo delle Processioni" e quindi della Quaresima è l'inventario delle vesti che puntualmente avviene nelle sedi delle confraternite. L'apertura degli "stipi" con immancabile afrore di umido o di naftalina è un segno vissuto da pochi cui segue la conta e l'interminabile piegare che richiede più di qualche giorno. Migliaia di vesti bianche, rosse, o nere hanno rivisto la luce in questi giorni e catalogate, piegate, lavate, stirate e consegnate, attraverso cento mani ci giungeranno in tempo per essere indossate per l'eterno sfilare delle Processioni. I ragazzi faranno a gara per averne una. i bambini si raccomandano alle mamme, i giovani andranno di persona a ritirarle, le mogli hanno già pronto il ferro da stiro per eliminare pieghe indesiderate e per dare un tocco personale a ciò che i mariti si preparano ad indossare. E' un fervore di attività, di contributi, cui si uniscono profumi, sentimenti, significati reconditi che qui vorremmo insieme riscoprire. Pochi sanno che la tradizionale "veste della Processione" si chiama in termini tecnici "sacco", sacco della fratellanza. E' un segno di appartenenza, un distintivo, un modo di riconoscere una fratellanza dall'altra, tanto è vero che nel linguaggio popolare che tende sempre a riassumere, ogni processione prende nome dal colore delle vesti dei confratelli: "la nera", "la bianca", "la rossa".

Vestire il sacco di una o l'altra famiglia è attestare di appartenervi conoscere la storia e l'identità della fratellanza, condividerne le finalità, aderire allo spirito che la anima. Farò più attenzione quest'anno all'atto in cui andrò a ritirare la veste e nei giorni in cui la terrò, come al solito, appesa nel mio guardaroba tra cravatte e doppio petto; la indosserò con più solennità a casa prima di uscire o sul piazzale della chiesa come se fosse una liturgia, una nuova firma alla spiritualità della mia confraternita un pubblico alto di appartenenza alla Chiesa.

Oltre all'adesione ad una famiglia particolare il sacco della fratellanza ha alcuni significati in comune ai "rossi" come ai "bianchi", ai "neri" e ai "celestini". Questi significati comuni vorrei ricordare ai fratelli dell'"INCIPIT".

Il sacco è innanzitutto una veste penitenziale, esprime, in fondo alla Quaresima, quanto abbiamo ripetuto più volte dal mercoledì delle Ceneri: siamo peccatori, dobbiamo convertirci! Nell'antichità quando non era così facile e immediato confessarsi, coloro che chiedevano il perdono alla Chiesa indossavano per tutto il tempo della Quaresima un sacco che li faceva riconoscere come penitenti, candidati al perdono che veniva amministrato nel triduo pasquale. Nel libro di Giona è raccontato che, alla predicazione del profeta, tutta la città di Ninive indossò il sacco in segno penitenziale, dal re all'ultimo suddito. Il sacco come veste penitenziale mi ricorda che è inutile partecipare alle processioni senza voglia di cambiare, senza porre gesti concreti di conversione, senza aver trovato il tempo di confessare i miei peccati, in ginocchio dinnanzi a un ministro di Dio. Con il sacco della fratellanza andrò gridando nelle processioni: "Sono un peccatore, ma voglio cambiare! Dio abbia pietà di me e mi benedica!".

Il sacco della fratellanza è anche una veste povera. Non porta la firma di Armani, o di Versace, non è sottoposta, come giacche e pantaloni, alle tendenze di stagione; non consultano gli orientamenti della moda i confratelli del governo che ora sono impegnali alla " conta", ma la veste che indosserai quest'anno è la stessa dell'anno scorso, ha lo stesso taglio di quella che indossava tuo nonno e che in futuro sarà consegnata ai figli dei tuoi figli. E' una veste povera che ci ricorda che l'uomo non è importante per l'abito che indossa, per le firme con cui arricchisce il suo guardaroba, ma perché Dio stesso ha firmato il suo corpo e il suo cuore all’atto della creazione: "a immagine di Dio lo creo"! La veste povera li farà scoprire che non vali per ciò che hai, ma per ciò che sei: figlio di Dio. Il sacco, veste povera, è uno schiaffo alla tua vanità e alla tua smania di apparire: bianca o nera. mantellina rossa o celeste, sarà un richiamo all’essenziale che è invisibile agli occhi.

Il sacco che indosserò a giorni ha lo stesso taglio, lo stesso colore, sarà munito dello stesso cordone, sarà in tutto uguale a quello degli altri: è la veste dell'uguaglianza. Prima che la rivoluzione francese lo sancisse, realizzando una parola di Gesù, le confraternite, pur strutturate al loro interno con ruoli diversi, hanno vissuto la uguaglianza fra i fratelli: il professionista e l'operaio, il dipendente e il datore di lavoro, il giovane e l'adulto, il bambino e l’anziano si distingueranno a fatica sotto la stessa veste di fratelli. Soprattutto con il cappuccio abbassato (non sarebbe più bello avere tutti il volto coperto?) non si è riconosciuti: la lancia è portata da un giovane o da un anziano? Quell'uomo che singhiozza portando la colonna è un marito abbandonato o un adolescente innamorato? E quell'altro che ostenta sul vassoio i trenta denari è un amico o un nemico? Per lo spettatore come per chi sfila in processione non ci sono differenze, saremo tutti solo poveri uomini in cerca di redenzione.

La veste della confraternita così facile da tagliare e cucire, senza pieghe e passamanerie, somiglia tanto ai camicioni che venivano fatti indossare ai condannati. Nelle tele del settecento napoletano per questo motivo non si distinguono i condannati al patibolo dai confratelli della buona morte che li accompagnano sul palco mostrando loro il crocifisso da baciare. E, più vicino a noi, le testimonianze dei campi di concentramento ci presentano uomini ammassati e rivestiti di uno spregevole abito comune. Il sacco della fratellanza e dunque anche la veste del condannato. Anche Gesù fu rivestito di un abito rosso all'atto della sua condanna Mi sentirò un condannato alla sequela di un Maestro Crocifisso, sentirò che la Sua morte ha sostituito la mia, il Suo Sangue ha lavato il mio sangue infetto, la Sua ignominia ha risparmiato la mia eterna confusione. Sentendo nella veste comunione con il Condannato per eccellenza, avvertirò anche i sospiri e le lacrime di tutti gli uomini offesi e derisi, calunniati e umiliati, derubati dei loro diritti e oppressi.

Quanti significati in una veste da processione! Cercherò di mentalizzare queste suggestioni per indossare con più coscienza il sacco della mia confraternita, sentirò il ruvido della veste penitenziale, il tanfo della veste povera, la semplicità della veste dell'uguaglianza, l'ignominia della veste del condannato.

Il mio Priore ha chiesto e ottenuto che da quest'anno i cappucci non saranno coreografici, appoggiati sulle mantelline o portati come sciarpe, ma calati sul volto come vuole la tradizione. I portatori della Madonna e del Cristo non sentiranno il bisogno di fare mostra di se nella filata sui corso, i cerimonieri saranno irriconoscibili e non sarà possibile fare l’occhiolino al fotografo o alla ragazza attenta alla passerella della virilità. A un segno convenuto scenderà, come un sipario, il cappuccio sul volto di tutti, scomparirà il mondo e le sue lusinghe, inizierà la processione degli incappucciati, Giuda non si distinguerà da Giovanni, Pilato da Caifa, Pietro dal Cireneo: saremo una massa indistinta di oppressi e oppressori, falchi e colombe, buoni e cattivi. Una massa in cammino verso la redenzione, alla ricerca di Dio e dell'uomo, alla sequela di Cristo. "Amico, perché sei venuto?". "Andiamo a morire con Lui". "Crucifigge!". "Gesù. ricordati di me nel tuo regno!": mi si confonderanno le battute nella mente, mi sentirò Centurione e Giuseppe di Arimatea, Giacomo e Marco, la croce o una spina della Sua corona. Il vento gonfierà le vesti ed il cuore batterà all'impazzata nella memoria di un condannato che ci ha salvati tutti. Inutilmente il maestro del coro intonerà il Miserere perché non avremo più voce sotto i cappucci inzuppati di pianto.

sabato 10 marzo 2012

IL GALLO – dall’opuscolo 1996

Una vecchia foto giallo-ocra ritrovata nell'archivio della mia confraternita mostra mio nonno Michele in processione con il sacco e in mano un vassoio scuro su cui giace un gallo. Sul retro, appena visibile, la punta di un pennino attesta l'annata: "Pasqua 1921". E' bastata più delle prove del Miserere e dei profumi quaresimali, ad immettermi nell'atmosfera magica e allusiva delle processioni. (Da noi basta il plurale per indicare, senza ombra di dubbio, le processioni della settimana santa). Ho chiesto al priore di poter avere per qualche giorno quella foto, me l'ha consegnata in segreto approfittando dell'alterco in corso tra un cerimoniere ed il primo assistente.

E' sulla mia scrivania, appoggiata ad una pila di libri universitari, come una reliquia. La guardo e riguardo scoprendovi sempre nuovi particolari.

Quasi mi parla. Il gallo che mio nonno porta con solennità nel vassoio non è di ceramica e nemmeno imbalsamato come ne ho visti sfilare in questi anni: deve essere vivo perchè ha le zampe legate. La cosa mi ha incuriosito e sono riuscito a scoprire, interrogando i vegliardi della congrega, che "una volta il gallo si portata vivo e... ubriaco". Una buona dose di vino rosso posta nell'abbeveratoio era l'unica precauzione che i confratelli di una volta assumevano perché il gallo se ne stesse buono per l'intero tragitto delle processioni. Dopo una breve ricerca archeologica ne ho voluto sapere di più: ma che ci fa un gallo, ubriaco o imbalsamato che sia, nel racconto vivente delle processioni?

II. GALLO ANNUNCIATO

Vi e mai capitato di ricevere un annuncio di morte o, comunque, una cattiva notizia nel bel mezzo di una festa o di un pranzo? Cala improvvisamente una coltre funerea su tutti e le risa si spengono, la sorsata di vino vi resta tra l'esofago e lo stomaco, tutti si fermano come incristalliti per un incantesimo. L'orchestra tace e un silenzio tombale reprime financo il respiro. Fu così quella sera di giovedì santo (santo o maledetto?) quando ci ferì la sua voce: "Uno di voi mi tradirà!". Non fu più dolce il vino, non più calde le parole, ci svegliammo da un sogno troppo bello e lontano dalla realtà.

Mi guardo allo specchio. "Sono forse io. Signore?" Allora come oggi si gioca a scaricabarili: ci sentiamo tutti giusti, troppo onesti per essere traditori. Mio nonno nella foto ingiallita ha gli occhi tristi e i baffi alla "Umberto" mancano della solennità che in altre foto di famiglia ho intravisto. "Anche tu, nonno, lo hai tradito?". Ho recitato così bene davanti a mia moglie, dopo averla tradita, che non sapevo più distinguere se la verità fosse la menzogna che stavo affermando o il fattaccio che cercavo di nascondere. Ieri sera, in una riunione del governo, ho fatto un intervento così convincente sulla moralità dei confratelli, che mi sono meritato le congratulazioni del padre spirituale. E' vero, nonno, tutti costruiamo una immagine di rispettabilità, usiamo frasi e luoghi comuni per attestare le nostre buone disposizioni, ma in fondo... Allora Pietro disse: "anche se tutti si scandalizzassero di te, io non lo sarò!". E Gesù: "In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte".

IL GALLO IN AZIONE

Stanotte Giacomo, mio figlio, è tornato alle tre. Aveva l'aria stravolta e gli occhi bassi. Mi sono alzato per rimproverarlo (frequenta cattive compagnie), ma proprio quando stavo per vestire la toga del giudice, sono stato fermato dallo sguardo del nonno: "con quale coscienza rimproveri tuo figlio... tu che fai le stesse porcherie?". Ho maledetto il momento in cui ho portato in casa quella foto. Si, ricordo, ha usato proprio questo termine "coscienza". Ho fatto finta di andare in bagno. Almeno una volta all'anno, dai lontani meandri della mia infanzia riemerge il termine "coscienza". Accade puntualmente nella processione della notte che fra tutte preferisco. L'anno scorso è accaduto all'angolo di via Cermenna, due anni fa fu a via Galatea..., un altro anno alla strozzatura di via Cassano. Potrei descrivervi l'ombra enorme di quell'ulivo dietro cui si smagliava il plenilunio, erano le tre. Nessuno per strada, la stanchezza che si fa sentire, in giro solo le ombre degli incappucciati. Dietro il muro di tufo un gallo canta. Ferisce la notte con il suo grido rauco mentre un brivido mi attraversa la schiena. Una folla di immagini e ricordi violentemente si impadronisce del cuore fino a farmi male. Mi vedo a cinque anni già nel coro dell'inno.... qui sono adolescente e porto il lampione..., quando mi diedero da portare la canna con la spugna, per la prima volta incrociai gli occhi di quella ragazza che doveva diventare mia moglie..., gli anni luminosi e inquieti della giovinezza li ho trascorsi tutti a cantare il Miserere.... poi "maestro di bacchetta" fino a far parte dei probiviri del governo. Quanti ricordi, quante speranze, quanti ideali! Da giovane piangevo cantando il Miserere per colpe che nemmeno erano veniali!

Chi dà il via a quel maledetto gallo che ogni anno, mi denuda, mi tormenta? E perché canta sempre a quell'ora? Forse tu, nonno, dalla foto del medaglione sulla lastra del cimitero telecomandi quel canto? "Un canto nella notte mi ritorna nel cuore, rifletto e il mio spirito si va interrogando" mi sembra che reciti un salmo. Allora mi ricordo di ciò che ero e ciò che sono, dei sogni della giovinezza e della prosaicità del presente, delle parole di Gesù e dei miei rinnegamenti. Tirerei il collo volentieri a tutti i galli del comune per non dover subire anche quest'anno quello che chiamo tra me "il processo del gallo".

IL GALLO MESSAGGERO

E se fosse ancora il gallo del nonno a cantare? "Impossibile - mi ha risposto un mio amico esperto di pollaio - anche perché il gallo ubriaco delle processioni finiva in padella per il pranzo di Pasqua!". Il nonno mi ha finalmente sorriso dalla vecchia foto facendomi capire che il gallo è dentro di me.

La mia coscienza. Non so se sarà approvato, ma ho fatto mettere all'ordine del giorno della prossima riunione: "sostituzione del gallo imbalsamato con un gallo vivo". Il segretario che annotava ha già riso della mia trovata "estemporanea". Non voglio avere una coscienza di ceramica o... imbalsamata..., voglio cambiare, per quanto ancora il gallo dovrà cantare per ricordarmi che sono un traditore?

"Per la seconda volta un gallo cantò. Allora Pietro si ricordò delle parole che Gesù gli aveva detto e scoppiò in pianto."

Era da vent'anni che non lo facevo, come Filumena Marturano. Quando il gallo ha cantato stanotte, ero già in tensione, è stato come un segnale da tempo convenuto. Sono scoppiato in pianto. Non ho avuto pudore né remore a farlo davanti al priore e agli altri. La mantella e il medaglione d'argento ne sono stati inondati. No, non è stato disperato il mio pianto, ma liberatore, come la prima volta, appena nato. Hanno cercato di consolarmi perché piangi? "Si sta facendo giorno - ho risposto - non lo sentite il gallo? Annuncia alba di Pasqua!".

E’ UFFICIALE: IL NOSTRO NUOVO VESCOVO E’ MONS. FRANCESCO ALFANO

(dal sito ufficiale della Santa Sede)

RINUNCIA DELL’ARCIVESCOVO DI SORRENTO-CASTELLAMMARE DI STABIA (ITALIA) E NOMINA DEL SUCCESSORE

Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia (Italia), presentata da S.E. Mons. Felice Cece, in conformità al can. 401 §1 del Codice di Diritto Canonico.

Il Papa ha nominato Arcivescovo di Sorrento-Castellammare di Stabia (Italia) S.E. Rev.ma Mons. Francesco Alfano, finora Arcivescovo di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia.

S.E. Mons. Francesco Alfano

S.E. Mons. Francesco Alfano è nato a Nocera Inferiore, diocesi di Nocera Inferiore-Sarno e provincia di Salerno, il 13 giugno 1956. Ha studiato al Seminario Minore diocesano e, fino alla licenza liceale, in quello regionale di Salerno. Come alunno dell’Almo Collegio Capranica ha frequentato Filosofia e Teologia all’Università Gregoriana, licenziandosi in Teologia Dogmatica.

È stato ordinato presbitero il 17 aprile 1982 e incardinato a Nocera Inferiore-Sarno.

Dopo l’ordinazione sacerdotale ha ricoperto i seguenti incarichi: 1982-1986: Vicario Cooperatore di "S. Bartolomeo Apostolo" in Nocera Inferiore; 1986-1989: Parroco di "S. Maria delle Grazie" in Casali di Roccapiemonte; 1989-2005: Parroco di "S. Maria delle Grazie" in Angri; 1992-1996: Direttore dell’Istituto diocesano di Scienze Religiose; 1993-2002: Responsabile della formazione dei seminaristi; 2001-2005: Vicario Episcopale per il clero.

Ha ricoperto, inoltre, gli incarichi di Assistente diocesano dei Giovani di Azione Cattolica, Assistente diocesano di Azione Cattolica, Segretario del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori, Direttore del Consiglio Pastorale e Responsabile dell’Ufficio Pastorale della Nuova Evangelizzazione.

È stato uno dei principali collaboratori del Vescovo nella celebrazione del Sinodo diocesano (1996-2001) e del primo Congresso Eucaristico diocesano.

Il 24 ottobre 1996 è stato annoverato tra i Cappellani di Sua Santità.

Eletto alla sede Arcivescovile di Sant’Angelo dei Lombardi-Conza-Nusco-Bisaccia il 14 maggio 2005, ha ricevuto la consacrazione episcopale il 2 luglio dello stesso anno.

lunedì 5 marzo 2012

TRA UN MESE…. LA NOSTRA PASQUA

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GIOVEDI’ 5 APRILE 2102 – GIOVEDI’ SANTO
Con l’uscita della processione dell’Annunziata avrà inizio la nostra Pasqua,la Pasqua degli incappucciati, dei sacchi, degli scapolari e delle croci, la Pasqua delle sette processioni in poco più di 24 ore. La Pasqua della Notte Bianca del venerdì santo che da secoli ci invita a vegliare, dei lampioni che illuminano la notte, dei tamburi che destano i più dormiglioni, dell’odore d’incenso che si mescola a quello dei fiori d’arancio e delle pastiere, la Pasqua che ci vede da secoli puntuali nel buio della notte fonda all’uscio delle nostre chiese per attendere l’uscita di quegli incappucciati per accompagnarli lungo le vie sino all’alba. La nostra Pasqua che terminerà la sera del Venerdì Santo quando l’ultimo lampione si spegnerà ed incomincerà l’attesa per la nostra Pasqua dell’anno venturo. La Pasqua che è solo nostra e che solo noi possiamo veramente capire, la Pasqua dei carottesi.

domenica 4 marzo 2012

MORTORA–CALENDARIO PROVE DEI CORI

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Opuscolo Settimana Santa 2012, si rinnova la passione

Ripartita la macchina organizzativa per l'Opuscolo della Settimana Santa 2012 (a sin. la copertina dello scorso anno). L'appuntamento per tutti coloro che avranno il piacere di sfogliare appuntamenti delle Parrocchie di Meta, Piano e Sant'Agnello e consultare gli itinerari delle processioni nei tre comuni, ma anche di leggere e condividere i messaggi dei sacerdoti responsabili dell'Unità Pastorale è fissata nelle Parrocchie di appartenenza e nelle sedi delle Confraternite coinvolte, per l'ultima domenica di Marzo.

Tempo utile per vivere i giorni che precedono la fine della Quaresime e l'inizio della Settimana più lunga dell'anno per fedeli, appassionati, cultori e protagonisti delle processioni e dei riti della Settimana Santa. Non sveliamo nulla sul tema scelto e che accompagnerà pagina dopo pagina il lettore tra fede, mistero e sgomento. Possiamo solo dire che è bello quando, attraverso questo quasi ventennale lavoro editoriale (nato dapprima tra le confraternite e i sodalizi di Piano di Sorrento - l'Incipit Vita Nova ), le confraternite riescono ad aprire le "proprie porte" non solo dell'animo, ma anche dell'arte, della storia, del rito, per farsi meglio conoscere, per essere ancor più vicini a quanti ammireranno le grosse macchine di fede allestite per le processioni del Giovedì e Venerdì Santo.

(Dal sito dell’Oratorio di San Nicola)

PRIMA CHE SORGA L’ALBA

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giovedì 1 marzo 2012

**** ADDIO LUCIO ****

Il perchè di questo brano scelto per salutare Lucio Dalla dal blog dedicato alle Confraternite? La risposta ai più esperti…….

CORPUS DOMINI 2018