domenica 18 marzo 2012

LA PROCESSIONE NEGLI OCCHI DI UN BAMBINO–dall’opuscolo 1997

100_1968Nove anni. Forse, dieci. Francesco era poco più di un bambino. Era il 1976. Francesco non lo sapeva ancora. Non lo immaginava neppure. Ma quello sarebbe stato per lui l'ultimo anno da spettatore. Si, non avrebbe più assistito in seguito alla mesta, ma imponente, sfilata degli incappucciati neri della Morte e Orazione, la sera del Venerdì Santo, su un Corso Italia che affogava fra due ali di una folla immensa, da far paura. E lui affacciato, dal terrazzo antico di un palazzo appartenuto in passato a qualche nobile ora decaduto, il cui nome forse si era addirittura estinto. Lui era li, come ogni anno, ad aspettare il passaggio della processione nera del Cristo morto. La processione, per eccellenza. A Piano di Sorrento. Era sempre stata un evento, per Francesco, la processione. E non riusciva a spiegarselo. Nei suoi primi anni di spettatore aveva paura di quegli uomini senza volto, tutti neri, che camminavano in un ordine surreale in file interminabili. Come quando a scuola gli dicevano di mettersi in fila per due, tenendo per mano il compagno di banco. Poi piano piano il suo amore per quell'evento cresceva e forse lui non se ne accorgeva nemmeno. Il futuro stava entrando dentro di lui, ancor prima che accadesse. Quell'anno, sembrava un anno come tutti gli altri. Con la mamma e il fratellino era andato a casa della zia per centellinare, gustare il sapore di un rito tutto suo. Prima la televisione, con l'inizio della Via Crucis officiata dal Papa, quell'anno era Paolo VI, poi la tanto desiderata tazza di cioccolata preparata da zia Rita con il prezioso, ai suoi occhi, segreto per farla densa. Infine la processione. E lui impaurito si affacciava pochi minuti prima del passaggio. Uno spettacolo impressionante. Migliaia di teste che si accalcavano su una strada misteriosamente vuota, senza macchine. Un'autentica magia, impaurito si affacciò. Da lontano sentì le prime note del Miserere. Le sentì diverse. Rapito, stordito da quel frastuono simile a un lamento, che ricordava la Morte di un Innocente, non fece caso nemmeno a quel dubbio che lo assillava da anni. Perché i tamburi, ogni volta che li vedeva passare, non suonavano? Ma lui non ci fece caso, appunto. Improvvisamente sentì l'angoscia di assistere a quell'evento. Avrebbe voluto partecipare anche lui. Ma era possibile? Quegli incappucciati erano esseri umani? Avrebbero consentito a lui, poco più di un bambino, di fare la processione? Da allora fu quella la unica, nuova domanda che lo assillò. Certo, gli sarebbe dispiaciuto non andare più dalla zia. Ma non poteva più resistere a quel richiamo. Ora però doveva aspettare un anno. Nel frattempo si sarebbe preparato. A scuola, parlando con i compagni, scoprì che alla processione nera potevano partecipare anche i bambini grandi come lui. Ma era difficile prendere la veste. Non solo. In processione c'erano degli uomini cattivi con una mazza in mano. Simili ai maestri che ti chiedevano se avevi fatto o no i compili. E più cattivi, gli spiegarono, erano due omoni con i baffi, forse due gemelli, che si chiamavano Rosario e Ferdinando. Ma lui non si perse d'animo. Oramai stava iniziando a capire e non poteva tirarsi indietro. Quando aveva chiesto a casa come fare per andare alla processione i genitori gli avevano risposto di non preoccuparsi, che c'era zio Mario, un altro uomo cattivo con la mazza, che lo avrebbe accompagnato a prendere l'ambita veste. E venne cosi il grande giorno. Un anno dopo. Insieme a zio Mario andò nella sala del Monte, come veniva chiamala. Aveva paura. Appena entrò vide tante persone che si rivolgevano a un signore che chiamavano Giosuè. Un altro signore, con i capelli bianchi, lunghi come li portano le donne, era seduto dietro a una scrivania. Poi scese giù in altra sala. Dove distribuivano le vesti. Gliela misurarono proprio Rosario e Ferdinando, mentre un signore piccolo, chiamato il professore, gli infilò in testa, improvvisamente, un cappuccio. Era fatta. Ora doveva aspettare solo il grande momento. Mancavano due settimane. Per il Venerdì Santo del 1977. Quell'anno, cambiò zia. Andò a dormire da lei, per poi andare insieme al cugino più grande e a un amico di classe alla processione della notte. Non dormì affatto. A mezzanotte in punto si alzò dal letto e si vestì secondo le indicazioni contenute in un biglietto rosso: scarpe e calzini neri. indumenti scuri. All'ingresso del cancello, prima del viale che portava alla sala del Monte, il signore piccolo che gli aveva misurato il cappuccio controllò che si fosse vestito come diceva il biglietto rosso. Entrò e iniziò a cacciare la veste dalla busta di plastica, dove sua mamma l'aveva riposta dopo averla stirata e piegata. Un signore gli allacciò il cordone con nodo stranissimo e complicato, che in futuro si sarebbe categoricamente rifiutato di imparare. I minuti passavano e venne il momento di mettersi in fila. Voleva, come tutti gli altri ragazzini della sua età, il lampione. E gli capitò proprio un lampione per la sua prima processione. L'evento al quale aveva assistito in passato era suo. Non più un sogno. E quando un uomo cattivo, in piena notte, in piena processione, gli diede un colpo alle gambe con quella mazza che veniva freneticamente battuta per terra, pianse. Il futuro stava entrando dentro di Lui.

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